Molti appassionati del settore sono soliti concentrare gli sforzi per riprodurre i propri animali unicamente nel periodo primaverile: appare infatti intuitivo immaginare i pappagalli, allo stato selvatico, prolificare con l’avvento della bella stagione, il germogliare della natura, l’aumento del fotoperiodo e l’arrivo delle piogge.
Ciò ci spinge pertanto a pensare che, parallelamente in ambiente protetto, le cove possano avvenire unicamente tra i mesi di marzo e agosto, ossia nel periodo che precede la muta estiva del piumaggio: viene quindi trascurata una potenzialità fondamentale dell’allevamento in cattività, ossia quella di poter individuare e sfruttare altre fasi dell’anno propizie per lo sviluppo della prole, attraverso la manipolazione degli stimoli ambientali.
Mi riferisco in particolare al periodo autunnale, spesso considerato nefasto per la sua prossimità all’inverno, ma che al contrario può riservare il contesto ideale per ottenere discreti risultati, specie se l’allevatore si mostrerà in grado di giocare correttamente le carte in proprio possesso.
Il periodo di muta appena trascorso, la temperatura non più torrida, la frequenza delle piogge in aumento ed il lieve rifiorire della vegetazione stremata dalla siccità estiva, sono elementi che svolgeranno il compito di predisporre le coppie in una buona attività ormonale, la quale potrà essere sfruttata dall’allevatore per ottenere la deposizione.
Del resto, numerose specie di Psittacidi provengono dall’emisfero boreale, ove le stagioni risultano invertite rispetto a quelle attuali, sicché l’estro autunnale può essere considerato un retaggio del ritmo ormonale ancestrale. Certo può non apparire oculato mantenere i mesi antecedenti all’inverno come prima scelta riproduttiva, tuttavia essi possono ritornare utili per recuperare le cove fallite in primavera, per ottenere maggiori risultati da esemplari particolarmente prolifici o per tentare la riproduzione con soggetti che qualche tempo prima erano risultati ancora immaturi o da poco introdotti in allevamento.
In generale, se l’allevatore si sarà mostrato in grado di gestire correttamente la muta con alimenti ipocalorici e poco eccitanti, a inizio settembre sarà possibile incominciare la stimolazione alimentare, attraverso i cibi sopradescritti, fornendo semi germinati, legumi bolliti e proteine animali in base al comportamento della coppia: se osserveremo che le strategie adottate potranno sortire l’effetto sperato, continueremo nella stimolazione fino alla comparsa delle uova; in caso contrario sarà bene evitare di esagerare col “caricare” gli animali.
Ad ogni modo, la decisione sul da farsi sarà lasciata al buonsenso dell’allevatore, che dovrà preoccuparsi di non sovraccaricare i pappagalli con troppe covate annuali, anche per evitare che una dieta eccitante abbia ripercussioni negative sull’organismo, e possa pertanto compromettere eventuali cove dell’anno seguente.
Parallelamente, avendo disponibilità di un’illuminazione artificiale efficace (ricordo infatti che in mancanza di uno spettro luminoso che contempli anche i raggi UV, qualsiasi irraggiamento aggiuntivo può risultare inutile) il fotoperiodo sarà aumentato fino a raggiungere un totale di 16 ore giornaliere.
La diminuzione graduale delle temperature rappresenta raramente una problematica reale, dal momento che la madre e i novelli si presentano capaci di un’eccezionale termoregolazione: pur lasciando la struttura senza particolari ripari, non si avranno di norma particolari inconvenienti. Qualora sia necessario, potremo assicurarci il riscaldamento della camera di cova attraverso l’impiego di una piastra termica per acquari, abbinata a un termostato per evitare il raggiungimento di temperature eccessivamente elevate; essa potrà inoltre aiutare nello stimolare la femmina, che, percependo il tepore nel nido, avrà maggiore probabilità di deporre.